Hai qualche kg di troppo di troppo che da tempo ti accompagnano, ma proprio non riesci a buttarli giù? Forse perché metterti a dieta non è l’unica cosa che dovresti considerare! Infatti, il nostro peso è il risultato di una serie di fattori che sommandosi determineranno l’oscillazione del nostro peso, in eccesso o in difetto. Tra i tanti fattori che intervengono nella determinazione del nostro peso, come l’alimentazione, l’attività fisica, la produzione ormonale, etc., ritroviamo anche la qualità del sonno. Dormire bene risulta un passaggio fondamentale per preservare il nostro stato di salute. Infatti durante il sonno avviene la fase di rigenerazione e pulizia del nostro corpo, che permette l’eliminazione di tutti gli scarti accumulati durante il giorno per la produzione di energia.
Quando dormiamo male, questo processo riparativo non si attua generando un accumulo di scorie che va a portare gonfiore, stanchezza e riduzione della produzione di energia durante il giorno, che chiaramente porterà ad un aumento del peso.
Questa premessa ci fa capire di quanto è importante gestire anche la qualità del nostro sonno e ciò è possibile attraverso una serie di attenzioni:
-cenare presto la sera e ridurre la quantità di carboidrati in quanto l’insulina aumentata che ne consegue sarà un ostacolo per la produzione di melatonina (ormone che regola il ciclo sonno-veglia).
-evitare schermi luminosi in quanto l’epifisi, la ghiandola che secerne melatonina, cessa di produrla quando la retina viene stimolata dalla luce.
-stressarsi o fare un’intensa attività fisica serale in quanto porteranno un aumento di cortisolo e adrenalina che inibiranno la produzione di melatonina
-la vitamina B6 è fondamentale per la conversione del triptofano in serotonina, che a sua volta è il precursore della melatonina
-la vitamina C indispensabile per la salute nei nostri surreni la cui produzione alterata durante il giorno porterà uno scompenso del nostro ritmo circadiano
-compensare eventuali carenze di calcio e/o magnesio, i quali portano allo sviluppo di insonnia di tipo 1 e 2.
Curate il vostro sonno e sarà un primo passo per migliorare la vostra salute e il vostro peso.
Buonanotte!!
Da Gennaio 2022 mi troverete anche a Corso Umberto, civ. 23!
Ricordo a tutti i pazienti che presso il mio studio potranno essere seguiti dal punto di vista alimentare sia per stati fisiologici che patologici. Qui di seguito tutti i servizi ai quali potrete accedere:
-diete ipocaloriche e ipercaloriche
-diete pediatriche, gravidanza, allattamento, sportivi, anziani
-diete diabete e dislipidemie
-diete per celiaci, morbo Crohn, rettocolite ulcerosa, colon irritabile
-dieta a basso contenuto fodmap
-diete patologie autoimmuni e antinfiammatoria
-dieta fertilità
-diete vegetariane e vegane
-calcolo composizione corporea (Bioimpedenziometria)
Il problema del colesterolo alto è forse tra le più frequenti alterazioni ematochimiche che riscontro tra i miei pazienti, soprattutto un aumento a carico del colesterolo così detto “cattivo”, vale a dire il colesterolo LDL. È chiaro che bisogna intervenire per ripristinare i valori normali, in quanto è ormai ampiamento noto di come un’ipercolesterolemia possa predisporre allo sviluppo di una serie di patologie tra cui: l’aterosclerosi (formazione di placche nelle arterie), infarto ed ictus.
C’è bisogno però di chiarire alcune cose sul colesterolo che possono indicare il modo migliore per intervenire:
1- La maggior parte del colesterolo che produciamo è di origine endogena. Che significa? Che è il nostro corpo a produrlo, quindi se i valori superano di molto quello che dovrebbe essere il valore limite, allora probabilmente ci sarà una predisposizione genetica e non si riuscirà solo con l’alimentazione a far rientrare i valori. Sarà quindi d’obbligo il passaggio dal vostro medico curante, che probabilmente vi prescriverà una statina.
2- Se i valori sono moderatamente alti in questo caso mi piace agire per gradi. Innanzitutto la cosa più ovvia è intervenire diminuendo l’apporto di colesterolo con la dieta, ma non solo. Infatti molti sottovalutano di come il metabolismo lipidico è strettamente legato a quello dei carboidrati. L’errore più comune che si può commettere è quello di andare a ridurre drasticamente i grassi, andando però ad aumentare il consumo di zuccheri. Aumentando i carboidrati andremo ad aumentare i livelli di insulina, la quale è un attivatore di un enzima, la HMGCoA-reduttasi, responsabile della produzione endogena di colesterolo. Quindi in maniera indiretta potremmo aumentare il colesterolo anche introducendo pochi grassi e molti carboidrati.
Se, prestando le dovute attenzioni, non si è riusciti a ripristinare i valori ottimali di colesterolo, allora il passo successivo sarà quello di integrare con dei nutraceutici (solitamente prodotti a base di riso rosso fermentato che contengono monacolina-K e inositolo).
Se alla fine nulla sarà servito per normalizzare i valori di colesterolo, né una dieta mirata né l’integrazione, allora si procederà con la statina.
3- Infine ricordate che un’ipercolesterolemia può derivare anche da uno stress prolungato nel tempo, in quanto il colesterolo è il precursore di alcuni ormoni deputati alla gestione dello stress, come il cortisolo. Un’aumentata produzione di cortisolo sarà necessariamente seguita da un aumento della produzione endogena di colesterolo. Quindi in questo caso bisognerà agire sulla gestione e riduzione dello stress.
Tranne se non appartenete a quella categoria di persone che hanno un’ipercolesterolemia familiare, la dieta rimane un passaggio fondamentale per ritornare a vedere i livelli di colesterolo normalizzati.
il latte materno rappresenta il miglior alimento esistente per i neonati fino ai 6 mesi di vita, momento in cui il loro sistema immunitario diventa abbastanza maturo. A differenza del latte in formula, la cui composizione è standardizzata, il latte materno cambia la sua composizione durante tutto il periodo dell’allattamento in base ad una serie di fattori. La sua composizione è infatti influenzata in base a fattori genetici ed ambientali (come lo stato di salute della mamma e il suo stile di vita), il sesso del bambino, lo stato infettivo, il mese di allattamento e addirittura il momento della giornata in cui avviene la produzione di latte (es: presenterà più grassi durante la mattina e meno durante la notte).
È chiaro dedurre di come il latte materno sia praticamente insostituibile da un qualsiasi latte di formulazione, che dovrebbe essere usato solo in caso di reale bisogno.
Vediamo ora più da vicino quali sono le caratteristiche che rendono il latte materno un alimento quasi magico:
prima di tutto il latte materno cambia nella sua composizione durante l’avanzare dell’allattamento. Inizialmente il primo latte prodotto si chiamerà colostro, il quale è un latte ricco in proteine, di molecole bioattive (immunoglobuline) e di fattori di crescita, che gli doneranno un ruolo soprattutto immunologico. Si passerà poi ad un latte di transazione il sui contenuto proteico inizia a calare, mentre i grassi e il lattosio andranno ad aumentare. La percentuale dei vari macronutrienti andranno così a variare finchè non si raggiungerà il latte maturo, più ricco in grassi e lattosio e a basso contenuto proteico.
Anche sui macronutrienti che compongono il latte c’è poi tanto dire. Dei lipidi sono particolarmente importante dei grassi a catena corta che saranno fondamentali per la maturazione del tratto gastrointestinale e per il corretto sviluppo del sistema nervoso centrale. In più hanno la capacità di inattivare alcuni patogeni (streptococco). Invece della quota glucidica sono particolarmente importanti degli oligosaccaridi con funzione prebiotica, che preverranno sia la diarrea che le infezioni del tratto respiratorio (di particolare importante in questo periodo). Tra gli oligosaccaridi ci sono anche importanti immunomodulatori che impediscono l’adesione di alcuni patogeni al tratto intestinale. Infine il latte materno contiene anche dell’azoto non proteico che si trova per esempio sotto forma di nucleotidi, il quale sarà indispensabile per lo sviluppo, la maturazione e la riparazione del tratto gastrointestinale e dello sviluppo del microbiota.
Bisogna però tener conto che la composizione del latte materno dipende anche molto dall’alimentazione seguita dalla mamma, e che se la mamma andrà in contro a carenze alimentari, anche il latte materno rispecchierà le stesse carenze.
Cerchiamo in questo periodo di caldo opprimente e quasi debilitante di trovare ristoro in qualche modo: un bagno a mare o in piscina, stenderci in un posto ombreggiato possibilmente ventilato o assaporare qualcosa di fresco e rinfrescante, come può essere un ghiacciolo. Dalla mia esperienza ho capito che troppo spesso il ghiacciolo viene considerato alla stregua dell’acqua. Si pensa che non sia calorico e che non abbia nessun impatto sul nostro peso. Cerchiamo di capire invece cosa contiene e se può essere una merenda idonea per noi o da proporre ai nostri figli.
Sicuramente l’ingrediente principali è l’acqua, seguita però da zucchero, succo di frutta (in bassissima percentuale), aromi, coloranti, addensanti, etc…
Quindi anche se le calorie di un ghiacciolo non sono eccessive e possono essere simili a quelle di una merenda corretta, la sua composizione lascia invece molto a desiderare. La quota di fibra è nulla rispetto a quella presente in un frutto mangiato intero, il contenuto di zuccheri è nettamente superiore e tutto ciò porterà ad un più alto picco glicemico (a breve scriverò un articolo sull’importanza di tenere sotto controllo la glicemia). Non parliamo poi di tutto le altre sostanze aggiunte come coloranti e addensanti non presenti in un frutto e del fatto che sia praticamente privo di tutte le vitamine presenti invece nella frutta.
Fortunatamente esistono delle alternative. Qui di seguito vi pubblico la foto di un ghiacciolo fatto in casa per i miei figli. Semplice e veloce da preparare e anche senza stampini (li dovrò comprare), ma con un bicchiere e una forchettina di plastica sono riuscita a dargli una forma accettabile.
Come unico ingrediente c’è la pesca… et voilà, la fibra e le vitamine vengono conservate, l’impatto glicemico è moderato e la necessità di rinfrescarsi è soddisfatta.
Ormai da tempo è risaputo e, tutte le linee guide lo indicano, che per stare bene bisogna mangiare più volte al giorno verdura. Il segreto di questo gruppo di alimenti risiede in molte sostanze contenute in esse che lavorano attraverso una cooperazione sinergica per donarci salute, come i polifenoli, fitosteroli, betaine, coline, etc… Tra queste molecole spicca anche l’Inositolo, una molecola simile al glucosio, molto rappresentata in alimenti di origine vegetale come i legumi, verdure e cereali integrali, e che si trova sotto forma di fitati.
I fitati sono stati per lungo tempo considerati degli antinutrienti della fibra, cioè sostanze che hanno la capacità di legarsi ai sali minerali rendendoli meno biodisponibili, portando così ad eventuali carenze. In realtà si è visto che questo effetto antinutrizionale emerge solo quando grandi quantità di Inositolo vengono ingerite in combinazione ad una dieta squilibrata e povera di minerali.
Scongiurato e chiarito i possibili dubbi sui fitati ed in particolare dell’Inositolo mi vorrei soffermare in quest’articolo sui numerosi vantaggi ad esso correlati:
-l’Inositolo stimola la produzione di lecitina, portando ad una diminuzione del colesterolo e soprattutto nel fegato svolge una funziona lipotropa, cioè di mobilizzazione dei grassi epatici, evitando così l’accumulo di grasso nel fegato.
-l’Inositolo è necessario per il corretto funzionamento di alcuni neurotrasmettitori come la serotonina e l’acetilcolina. Ricordiamo che una carenza di queste sostanze può portare a stati di ansia e depressione. Quindi l’Inositolo è un ottimo aiutante per chi, per esempio, soffre di depressione e attacchi di panico.
-uno dei ruoli di maggiore rilevanza dell’Inositolo è quello di migliorare la sensibilità all’insulina, prevenendo e combattendo lo sviluppo di diabete, sindrome dell’ovaio policistico e obesità. Purtroppo una dieta occidentale ricca in zuccheri semplici, provoca una carenza di Inositolo. Infatti il glucosio aumenta la degradazione dell’Inositolo e diminuisce la sua biosintesi e il suo assorbimento. Quindi in caso di diete scorrette, di età avanzata, utilizzo di antibiotici o di consumo regolare di grandi quantitativi di caffè sarà ancora più importante aumentarne le quantità di Inositolo.
-è stato ormai osservato di come i più diffusi tumori, come quello al colon e al seno, compaiano in quei pazienti che già soffrono di malattie metaboliche (diabete, ipertensione, obesità). Se leghiamo lo sviluppo delle malattie metaboliche ad una dieta squilibrata e povera di fibre e inositolo, ecco che potremmo correlare una dieta povera di fibre con un aumento del rischio sia di malattie metaboliche che di cancro. Infatti nelle cellule tumorali e diabetiche, l’inositolo sarà carente. In più l’inositolo ha anche un potere pro-apoptotico verso le cellule cancerose, bloccandone quindi la loro proliferazione.
-infine la capacità chelante dell’inositolo potrebbe dare dei vantaggi nella prevenzione dei calcoli renali e della formazione di microcalcificazioni al seno, grazie alla sua capacità di inibire la formazione dei cristalli di ossalato di calcio.
Bibliografia:
-Dinicola Simona et al.- Nutritional and Acquired Deficiencies in Inositol Bioavailability. Correlations with Metabolic Disorders – int J Mol Sci 2017
In questo articolo vi vorrei parlare di quanto la salute ormonale sia strettamente correlata alla nostra salute psico-fisica e di come l’alimentazione può venirci in soccorso in caso di un’alterazione dei dosaggi ormonali, in particolar modo degli ormoni sessuali.
Una scorretta produzione degli ormoni sessuali (FSH, LH, estrogeni, progesterone, testosterone) può portare a varie sintomatologie, dalle più alle meno gravi, come: acne, stanchezza, ansia, irsutismo, ritenzione idrica, eccesso di grasso a livello di fianchi e gambe, ovaio micropolicistico, infertilità…
In base alle alterazioni riscontrate l’intervento alimentare sarà differente. Per esempio eccessi di estrogeni possono essere causati da una dieta squilibrata per eccesso di carboidrati (soprattutto semplici), per eccesso di grassi trans (margarine e grassi idrogenati), o carenza di proteine, grassi, Mg, Zn, Cu e vit. B. Quindi un primo passo sarebbe quello di andare a ristabilire il giusto equilibrio tra macro- (carobidrati, proteine, lipidi) e micro nutrienti (vitamine e Sali minerali). Un secondo passaggio è quello di utilizzare alcuni alleati che la natura ci mette a disposizione per ridurre i livelli di estrogeni, come:
-le crucifere, che grazie all’indolo-3-carbinolo, diminuiscono la produzione endogena di estrogeni e in più ne ostacolano l’assorbimento.
-melagrana che ha attività antiestrogeniche
-crisina, è un flavone, molto rappresentato nel miele e nel propoli, che ha la funzione di inibitore delle aromatasi. Le aromatasi sono degli enzimi che convertono gli androgeni in estrogeni, particolarmente espresse durante i tumori mammari ed altri tumori ormoni sensibili. Bloccandole si avrà una diminuzione dei livelli di estrogeni.
-semi di lino, grazie all’alto contenuto di lignani, anch’essi aventi un effetto antiestrogenico.
-latte e latticini diminuiscono i livelli di estrogeni, mentre i latticini ricchi in grassi stimolano la produzione di LH.
Quando invece si hanno ridotti livelli di estrogeni allora la dieta dovrà seguire altri criteri. Per esempio la produzione di estrogeni è fortemente legata alla percentuale di massa grassa; una bassa percentuale di massa grassa è accompagnata da una ridotta produzione di estrogeni, quindi diete troppo restrittive non sono da perseguire. In più aumentare il consumo di tè verde e ridurre la caffeina può aiutare a ristabilire i livelli di estrogeni.
In questo articolo vi ho riportato solo alcuni esempi e criteri da seguire a livello nutrizionale in caso di alterazioni ormonali. Come potete ben capire non è così semplice stilare una dieta e i fattori da tenere in considerazione sono davvero tanti. Per questo, soprattutto in caso di alterazione e disfunzioni di qualunque genere, affidatevi sempre ad uno specialista della nutrizione e non a diete fai da te o prestampate, che non possono tenere conto in nessun modo delle esigenze individuali.
Bibliografia:
– Keewan Kim, et al.- Dairy Food Intake Is Associated with Reproductive Hormones and Sporadic Anovulation among Healthy Premenopausal Women – J nutr 2017feb;147(2):218-226
-Schliep KC et al.- Caffeinated beverage intake and reproductive hormones among premenopausal women in the BioCycle Study – Am J clin nutr 2012 Feb; 95(2):488-97
Come promesso nello scorso articolo oggi tratterò della dieta antinfiammatoria!
La prima cosa importante da sottolineare è che l’infiammazione in realtà è un processo fondamentale nel nostro organismo che permette l’eradicazione di eventuali agenti patogeni che hanno causato un danno, o semplicemente interviene durante la riparazione di una lesione. L’infiammazione è quindi indispensabile e benefica quando è acuta, come nel caso di un’influenza o di un infortunio. Il problema sorge nel momento in cui a causare l’infiammazione è un fattore (es. dieta proinfiammatoria, obesità, sindrome metabolica, etc…), che permane nel tempo, continuativo e ripetuto, che genera un’infiammazione cronica, spesso silente. L’infiammazione cronica di basso grado è quella a cui dobbiamo prestare attenzione perché può essere l’innesco di molte patologie, che svilupperemo in base alla nostra personale predisposizione (malattie autoimmuni, neurodegenerative, metaboliche come il diabete, cardiovascolari…). E qui entra in scena la dieta antinfiammatoria con la quale è possibile contrastare l’insorgere delle patologie sopra citate e quindi preservare il proprio stato di salute.
La prima regola per una buona dieta antiinfiammatoria è abbassare i livelli di acido arachidonico, un derivato degli acidi grassi omega 6, dal quale si producono trombossani e prostaglandine (alcune delle molecole responsabili dell’infiammazione). Quindi il primo passo di una dieta antinfiammatoria dovrebbe essere quello di abbassare il rapporto omega 6/omega 3, e questo è possibile aumentando l’introito di acidi grassi omega 3 i quali si trovano nei semi di lino, sardine, sgombri e in generale nel pesce azzurro.
Secondo fattore da tenere in considerazione è la quantità di radicali liberi. Essi sono delle molecole particolarmente reattive che generano danni cellulari. Di fatto lo stress ossidativo si trova alla base di molti disturbi cronici-degenerativi. I radicali liberi si formano in grandi quantità a causa di un ambiente altamente inquinato (smog, fumo di sigaretta) di una dieta scorretta, di un eccesso di esercizio fisico e quando si ha un’insufficienza epatica. La salute del nostro fegato è infatti indispensabile e tutto ciò che ne altera il buon funzionamento porterà un conseguente accumulo di radicali liberi. Quindi una dieta antinfiammatoria dovrà prevedere la salvaguardia epatica. Quindi niente alcol, abuso di farmaci, e soprattutto NO a qualsiasi tipo di sovralimentazione che porterà ad un accumulo di grassi a livello epatico.
Il modo migliore per contrastare i radicali liberi è seguire una dieta ricca di antiossidanti, soprattutto se pratichiamo molto sport. Quindi via libera ad alimenti ricchi in vitamina C (kiwi ed agrumi), A (alimenti arancio-rossi), E (oli vegetali, frutta secca a guscio), selenio (pesce e molluschi) e polifenoli (tè verde, frutti rossi, cacao, pomodori…).
Infine ricordiamo che l’insulina va ad attivare le desaturasi, degli enzimi che portano alla produzione di acido arachidonico, che come dicevamo poc’anzi è uno dei fattori maggiormente proinfiammatori. Quindi una dieta antiinfiammatoria è obbligatoriamente una dieta che tiene a bada l’indice glicemico e il carico glicemico.
Nello scorso articolo abbiamo trattato l’osteoporosi e di quanto la sua prevenzione o cura sia ben lontana dall’esclusivo utilizzo di vitamina D. infatti tutto ciò che accade nel nostro organismo è spesso complesso e multifattoriale, perciò agire considerando un unico fattore potrebbe risultare un grosso scivolone terapeutico.
Tra i vari fattori che avevo considerato come predisponenti allo sviluppo di questa condizione, c’era il prolungato utilizzo degli inibitori di pompa protonica, meglio noti come gastroprotettori. Questo farmaco utile a breve termine per il trattamento del reflusso gastroesofageo e per l’eradicazione dell’H. Pylori in corso di ulcera peptica, è anche usato per la prevenzione e il trattamento delle lesioni da FANS (antinfiammatori). Ricordiamo che i gastroprotettori come qualsiasi buon farmaco che si rispetti, ha una serie di effetti collaterali, soprattutto se assunti per lunghi periodi, come l’induzione di carenza di vitamina B12, Calcio, Ferro e Magnesio. Ciò significa che un uso protratto nel tempo porterà ad osteopenia, osteoporosi, anemia e, a causa dell’ipomagnesemia, a spasmi muscolari, debolezza, vomito etc…
Quindi se non volete incappare in una situazione di chiodo scaccia chiodo, dove non si fa altro che sostituire delle problematiche con delle altre, allora forse bisogna cambiare punto di partenza. Magari bisognerebbe iniziare dal cambiare le proprie cattive abitudini, magari si potrebbe iniziare a fare qualche attenzione a tavola e iniziare a muoverci di più. Ricordiamoci che esistono delle diete specifiche per chi soffre di reflusso gastroesofageo o per chi soffre di patologie infiammatorie. La terapia farmacologica purtroppo risulta essere la via più veloce e più semplice, ma dubitate sempre della strada più facile e facciamo in modo che la terapia farmacologica venga sempre inserita come secondo step e non come primo.
Chiudo l’articolo informandovi che per tutte le patologie infiammatorie esiste una dieta mirata che in molti casi da ottimi risultati. La dieta antinfiammatoria sarà la protagonista del mio prossimo articolo!
Rimanete collegati e buon week end!
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